ISCHIA, UN’ISOLA LABORATORIO PER LO STUDIO DELL’ACIDIFICAZIONE MARINA
Maria Cristina Gambi, Nuria Teixido
Stazione Zoologica Anton Dohrn, Napoli – Centro Villa Dohrn-Ecologia del Benthos, Ischia (Napoli)
Articolo originale: GAMBI M.C., TEIXIDO N. 2016. Un’isola laboratorio per lo studio dell’acidificazione marina. In: Il Vulcano Ischia. Ambiente, Rischio, Comunicazione, 11 (luglio 2016): 46-52. ISSN 2240-1520
L’isola d’Ischia è ben nota per le sue risorse ambientali, culturali e paesaggistiche sia a terra sia a mare, che hanno portato nel 2008 all’istituzione dell’Area Marina protetta del “Regno di Nettuno” (Gambi et al., 2003), di diversi Geositi terrestri e marini (Monti, 2011), ed anche all’ipotesi di proporre l’isola come patrimonio mondiale naturale e culturale dell’umanità (Leone e Greco, 2014).
Ischia presenta una lunga e ben documentata storia vulcanica; le eruzioni hanno generato differenti rocce basaltiche e depositi di frane detritiche anche a mare (de Alteriis et al., 2010), che fanno delle coste e dei fondali sommersi dell’isola un “arcipelago” di secche, scogli e faraglioni, canyons, duomi e resti di edifici vulcanici, falesie verticali e grotte semi-sommerse e sommerse.
L’origine vulcanica di Ischia e la sua complessità geo-morfologica si riflette in una elevata varietà di ambienti sommersi con caratteristiche ecologiche molteplici che favoriscono una biodiversità elevata ed una struttura a mosaico di habitat e comunità (Gambi et al., 2003). Nell’isola di Ischia quindi le relazioni tra geologia e biologia sono strette ed imprescindibili per capire le emergenze naturalistiche ed ecologiche dei fondali marini. Il vulcanismo pregresso dell’area si manifesta ancora oggi attraverso una intensa attività idrotermale sia a terra che a mare, ma anche con fenomeni di emissioni gassose fredde e fumarole calde presenti in varie parti interne e costiere dell’isola che testimoniano la presenza di cospicui depositi sub-crostali soprattutto di CO2 (Pecoraino et al. 2005).
Le caratteristiche geochimiche ed isotopiche dei gas emessi in varie aree dell’isola sono state studiate da diversi autori e sintetizzate da Tedesco (1996), che identifica anche alcuni siti costieri nella parte nord-est ed est dell’isola interessati da emissioni sommerse composte al 95% da CO2 e senza presenza di solfuri tossici, e che escono alla stessa temperatura delle acque circostanti.
La peculiarità delle emissioni sommerse di CO2 è di generare una naturale acidificazione delle acque (abbassamento del pH ed alterazione della chimica dei carbonati disciolti), quindi queste zone rappresentano “laboratori naturali” per studiare il problema dell’adattamento di singole specie nonché di intere comunità ed ecosistemi all’acidificazione marina, e vere “finestre sul futuro” per osservare nell’attuale i possibili scenari ecologici dei mari sulla base dei valori del pH previsti da alcuni modelli geochimici per il non lontano 2100 (Caldeira e Wickett, 2003).
Uno dei siti di accumulo delle emissioni antropiche di CO2 è appunto l’ambiente marino dove questo gas si dissolve per formare acido carbonico. Sebbene l’acqua di mare tamponi questo processo chimico, l’acidità dell’ambiente marino sta aumentando con un incremento del 30% di H+, pari ad un abbassamento di 0,1 unità del pH dall’era industriale ad oggi. Questo fenomeno è conosciuto come “acidificazione degli oceani”. È stato stimato che entro il 2100, se l’uso di combustibili fossili continuerà con i ritmi attuali, la caduta di pH nell’ambiente marino sarà addirittura di 0,3-0,4 unità (Caldeira e Wickett, 2003).
L’acidificazione marina rappresenta quindi l’altra faccia del problema dell’immissione di CO2 in atmosfera e del cambiamento climatico globale, e sta minacciando specie ed ecosistemi, soprattutto quelli costituti da specie a guscio/scheletro calcareo (es., barriere coralline, coralligeno, coralli profondi ecc.). Esiste pertanto una notevole attenzione della comunità scientifica internazionale in questi ultimi anni anche da parte dei cosiddetti “policy makers” (IGBP 2013).
Ad Ischia i ricercatori della Stazione Zoologica studiano il problema dell’acidificazione marina da circa 10 anni concentrando le ricerche nella zona attorno alle coste del Castello d’Ischia, che rappresenta anche il primo sistema di questo tipo studiato al mondo (Hall-Spencer et al., 2008) e ad oggi ancora tra i più interessanti ed investigati. A seguito della rilevanza dello studio in situ del problema dell’acidificazione degli oceani, dopo il Castello di Ischia, altri sistemi simili, dislocati sia in Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia) che in altri mari (Papua Nuova Guinea, Giappone, Azzorre, Messico) e definiti come “CO2 vents”, sono stati portati alla ribalta scientifica internazionale (Gambi, 2014b).
Da quanto si evince dalla letteratura ad oggi disponibile su questi peculiari ambienti, ogni area caratterizzata da emissioni vulcaniche di CO2 possiede una sua “unicità”, pur se a volte il gradiente di pH, la chimica dei carbonati o alcuni organismi possono essere simili. Da qui l’importanza di ciascuna area per poter allargare lo spettro di organismi, habitat e condizioni ecologiche interessate da condizioni “naturali” di acidificazione, ed espandere le nostre conoscenze sugli effetti in rapporto agli scenari futuri.
Recentemente, attorno alle coste di Ischia, ed in particolare nel settore nord-orientale ed adiacenze del canale di Ischia (Fig. 1), sono state individuate altre zone di emissioni sommerse di CO2 simili al Castello (Gambi, 2014b), la cui esplorazione e studio è iniziata lo scorso anno e vede attualmente gli Autori ed altri loro collaboratori impegnati in una ricerca denominata “Windows to the future”, finanziata dalla National Geographic Society (USA). L’importanza di tali siti risiede nel fatto che le emissioni interessano molti altri tipi di habitat e specie, quali il coralligeno, le scogliere sommerse e le praterie di Posidonia più profonde, le grotte semi-oscure e i fondi sabbiosi e detritici, permettendo in questo modo di estendere le osservazioni sugli effetti dell’acidificazione su un numero maggiore di specie e comunità.
Le diverse aree di emissione di CO2 studiate anche nell’ambito del progetto Windows to the future sono sotto brevemente descritte.
Il Castello Aragonese. il Castello Aragonese (sito n. 1 in Fig. 1), individuato come geosito marino dalla Regione Campania (n. 20), rappresenta anche l’unica area a mare sotto tutela archeologica dell’isola d’Ischia per la presenza di antichi insediamenti di varie età, inclusi i recenti rinvenimenti della città romana di Aenaria (III sec. A.C.). Il Castello è un antico isolotto di origine vulcanica localizzato al bordo di una faglia (Rittmann e Gottini, 1981) ed attualmente collegato ad Ischia da una strada ed un ponte, le cui coste sono interessate da intense emissioni di gas dal fondale marino, emissioni favorite appunto dalla presenza della faglia stessa. Questo gas è rappresentato per circa il 95% da anidride carbonica (Tedesco, 1996; Hall-Spencer et al., 2008), ed interessa una zona estesa per circa 150 m x 20 m lungo la parete rocciosa sia a nord che a sud dell’isolotto rispetto alla strada. Da questa zona di intense emissioni si origina un gradiente di acidità delle acque che da valori estremamente bassi (con medie tra 6,6. e 7,4 unità) raggiunge i valori normali di pH per le acque del Mediterraneo di 8,12 lungo un transetto che si sviluppa sia sul lato sud che nord del Castello. Gli habitat che caratterizzano queste aree sono principalmente fondi duri superficiali a densa copertura di macroalghe, e la prateria di Posidonia oceanica (Fig. 2). Una sintesi delle ricerche svolte e la bibliografia relativa è reperibile in Gambi (2014a). Nelle aree a maggiore acidificazione (emissioni più intense) si osserva una riduzione di oltre il 74% delle specie presenti invece nelle aree a pH normale nelle adiacenze del Castello.
‘A Vullatura (La bollitura). Questo sito si trova di fronte alla spiaggia della Mandra (sito n. 2 in Fig. 1). I pescatori e marinai locali conoscono il fenomeno e hanno denominato la zona come “‘a vullatura” (la bollitura) perchè l’attività di emissione è così intensa che le acque sembrano “ribollire” (Lauro G., com. pers.). L’area si trova a circa 500 m dal lato nord-ovest del Castello Aragonese, allineata sulla stessa linea di faglia che scorre tra il Castello e le coste dell’isola. La zona interessata dalle emissioni si estende tra 6 e 3 m di profondità. Le bolle di CO2 escono da un fondale di sabbia grossolana a 5-6 m (Fig. 3); dal fondale si innalzano ampie zone di matte di Posidonia, che in alcuni punti è alta oltre 2,5 m, e che si sviluppa quindi a circa 3 m di profondità.
Oltre a Posidonia nell’area dominano le alghe Flabellia petiolata e Codium bursa e sui rizomi di Posidonia la spugna Crambe crambe. Le foglie di Posidonia si presentano prive di epifiti calcarei e piuttosto corte a causa di un forte pascolo da parte di pesci (e.g., Diplodus sargus). L’area è molto simile alle zone più acidificate del Castello, soprattutto nel lato sud, dove le emissioni interessano anche porzioni di prateria di Posidonia. Lo sviluppo verticale della matte di Posidonia e la densità delle bolle alla “vullatura” sono però maggiori.
Le “chiane del Lume”. Questo zona (n. 3 in Fig. 1) rappresenta una di 3 aree di emissione di gas contigue e localizzate tra la Baia di Cartaromana e la Grotta del Mago, lungo la costa est dell’isola. In questi siti l’emissione di gas è indicata anche nella carta CARG della Regione Campania (Sbrana e Toccaceli, 2011), ed è anche conosciuta da pescatori e subacquei locali. La zona attualmente studiata da noi si trova circa 200 m fuori Punta del Lume ed è costituita da un’ampia radura a 10-12 m di profondità larga circa 25 m e lunga circa 50 m circondata quasi interamente da ampie macchie di Posidonia oceanica insediata su una matte di circa 50-60 cm di altezza. Le emissioni, sottili ma molto dense, fuoriescono dal fondo di ghiaia e lapillo della radura (Fig. 4).
Uno dei lati della radura è delimitato da scogli e da un banco roccioso esteso per circa 20 m di lunghezza e che con un pinnacolo si innalza da 10 a 4 m di profondità. Nella scogliera sommersa adiacente alle emissioni è presente un tipico popolamento infralitorale fotofilo piuttosto diversificato, e tra le specie “calcificanti”, quelle potenzialmente più vulnerabili alla acidificazione, sono presenti l’alga bruna Padina pavonica, e la madrepora Cladocora caespitosa.
La Grotta del Mago. La grotta del Mago (sito n. 4 in Fig. 1), è una cavità semisommersa che si apre lungo le coste sud est dell’isola d’Ischia, costituita da un’ampia entrata su una grande camera (40 m di lunghezza per 30 di larghezza) da cui si diparte uno stretto cunicolo lungo circa 60 m che termina in una camera più piccola completamente oscura. Il sito rappresenta uno dei primi sistemi di grotta studiati in Italia ed in cui è stato analizzato l’effetto sul benthos sia del gradiente di luce che di quello idrodinamico (Cinelli et al., 1977). La grotta
testimonia anche il notevole aumento del madreporario termofilo, Astroides calycularis (Fig. 5), che domina il popolamento della grotta e il cui ricoprimento dal 1976 (anno dei primi rilievi in Cinelli et al., 1977) al 2003 è aumentato di quasi 8 volte, probabilmente come conseguenza dell’aumento medio della temperatura superficiale (Dappiano & Gambi, 2004). Sul fondo della camera grande della grotta (6-7 m di profondità), caratterizzato da ghiaia/sabbia grossolana e massi sparsi, sono presenti emissioni di CO2 (Fig. 5) che si estendono fino all’ingresso esterno della grotta. Tali emissioni, notate anche dai primi ricercatori che hanno lavorato in questo sistema (Cinelli F., Pronzato R., Pansini M. comun. pers,), e da chi ha fatto rilievi successivamente (Dappiano & Gambi, 2004), erano tuttavia molto scarse e disperse. Dai rilievi visivi del 2003 a quelli del 2014 (Gambi 2014b) è stato notato un aumento sia dell’intensità che della distribuzione delle bolle di CO2 che attualmente sono presenti in modo piuttosto omogeneo all’interno di tutta la camera grande.
Secca la ”Madonnina”. Questa zona, localizzata nel canale d’Ischia (sito n. 5 in Fig. 1) tra 36 e 48 m di profondità, prende il nome dal fatto che una piccola statua di bronzo rappresentante la Madonna è stata posta in un anfratto della parete a 43 m di profondità da un subacqueo locale quale ex-voto (Sorvino P., com. pers.). La secca, che è costituita di due grandi faraglioni, è localizzata a 400 m di distanza dal complesso di secche detto Catena-Pertuso che è ben segnalato nelle carte batimetriche dell’isola (De Alteriis et al., 2006) (Fig. 1). Le emissioni di gas sono sul fondo di sabbia grossolana a 47-48 m di profondità, ad una estremità dei due faraglioni e si sviluppano per circa 25 m di lunghezza ed una larghezza di 3-4 m dalle pareti rocciose. L’ambiente dovrebbe essere quello tipico di coralligeno, data la profondità e come testimonia la presenza di alcuni organismi caratteristici, quali numerosi esemplari di Centrostephanus longispinus, Bonellia viridis, Palinurus elephas, e cospicua presenza di Aplysina aerophoba in quasi tutti gli anfratti e spaccate dei due faraglioni, e densi banchi di Anthias anthias. Tuttavia, ad una visione d’insieme i due faraglioni sembrano spogli (Fig. 6), in particolare sono totalmente assenti le tipiche gorgonie (Paramuricea, Eunicella spp., Leptogorgia, Savalia) comuni a queste profondità, briozoi e spugne perforanti, le pareti sia verticali che orizzontali del cappello sono molto poco colonizzate ed il coralligeno risulta poco strutturato con biocostruttori limitati ad alghe coralline incrostanti, con formazioni comunque non cospicue. L’ambiente descritto risulta molto povero soprattutto se paragonato alle secche attigue (site a soli 400 e 800 m di distanza) del complesso della Catena-Pertuso che, proprio per il regime elevato di corrente che caratterizza il canale di Ischia, presentano habitat e comunità del coralligeno tra le più diversificate (Fig. 6), cospicue e spettacolari di Ischia (Gambi et al., 2003), inserite nella zona A di riserva integrale dell’AMP, ma che non sono interessate da emissioni di gas. Risulta pertanto spontaneo ipotizzare che l’impoverimento notevole osservato in questa zona sia dovuto all’effetto negativo delle emissioni per insediamento e crescita di molti degli organismi tipici del coralligeno soprattutto biocostruttori calcificanti (es., gorgonie, briozoi, alcune corallinacee ecc.). E’ molto probabile che, data la profondità sempre al di sotto del termoclino stagionale (ad Ischia localizzato tra 15-20 di profondità), la stratificazione superficiale limiti il mescolamento della colonna d’acqua favorendo la permanenza delle acque acidificate in profondità.
In conclusione, l’isola d’Ischia rappresenta nel suo complesso un vero grande laboratorio naturale per lo studio degli effetti e dei rischi del cambiamento climatico sull’ambiente marino del Mediterraneo con particolare riguardo all’acidificazione marina.
Ringraziamenti
Il nostro ringraziamento a Pietro Sorvino (ANS Diving Ischia) per la segnalazione di emissioni di CO2 alla secca della “Madonnina” ed alle “chiane del Lume”, ed a Giulio Lauro per l’aiuto nell’accesso alla “vullatura” di fronte alla spiaggia della Mandra. Si ringraziano anche il Cap. Vincenzo Rando e Bruno Iacono (SZN a Villa Dohrn) per il costante supporto a mare sia al Castello che nei nuovi siti di emissione di CO2 attorno ad Ischia. Infine un ringraziamento speciale a Fiorenza Micheli, Kristy Kroeker e Kike Ballesteros per collaborare con noi allo studio “Windows to the future”, finanziato dalla National Geographic Society. Questo scritto rappresenta una sintesi di un articolo pubblicato da Gambi M.C. nel 2014 sul Notiziario della Società Italiana di Biologia Marina (SIBM).
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